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Il Carciofo a spasso nella storia 1 commento


carciofo-grigio-chiaro-bian.jpgNella mitologia si narra di come la bellissima ninfa Cynara, chiamata così a causa dei suoi capelli color cenere, per non essersi concessa a Giove fu trasformata in una pianta spinosa e appuntita, ma secondo lo scrittore latino Decio Bruno Columella il nome Cynara deriva all’usanza degli agricoltori di spargere, come fertilizzante, cenere sui campi.

Il carciofo è originario dei Paesi del Bacino del Mediterraneo, i botanici lo ritengono, insieme al cardo domestico (Cynara cardunculus altilis), derivare dal cardo selvatico (Cynara cardunculus silvestris) il quale tutt’oggi trova impiego, come caglio vegetale, nella coagulazione di alcuni formaggi (Cacio fiore di Columella). L’etimologia degli attuali nomi volgari differisce nelle varie lingue e deriva per i paesi dell’Europa settentrionali dal neo-latino ”articactus”, per le regioni meridionali dall’arabo ”harsciof”. Ciò ha determinato in Francia il termine artichaut e in Italia la parola carciofo. Il cardo era noto già in epoca preromana e si presume, secondo una tesi del botanico Giuliano Montelucci, che l’opera di addomesticamento della pianta selvatica sia da attribuire al popolo Etrusco. Fu apprezzato e ricercato anche dai Romani che lo identificavano con il nome di “Hispida cinara. Nel “De re rustica” di Decio Bruno Columella fu catalogato in sei specie, mentre Plinio il Vecchio nel suo “Naturalis Historia” ne aggiunse altre due: cartagine e cordova. Precisiamo, però, che per la morfologia della pianta siamo lontani dal concetto odierno di carciofo, la stessa sviluppava solo capolini poco carnosi e di piccole dimensioni. Come testimonia Marco Gavio, soprannominato Apicio, nel suo libro di ricette “De re coquinaria” illustrando dieci preparazioni a base di cardo con utilizzo sia dell’infiorescenza (solo il calice, escludendo anche le brattee più tenere) sia i relativi gambi. Si dovrà attendere fino al Rinascimento per giungere alle varietà odierne. Quest’opera di miglioramento colturale ha avuto origine, nella seconda metà del 1400, nell’Italia meridionale, precisamente a Napoli, per poi diffondersi verso nord ad opera di Filippo Strozzi e alcuni orticoltori che, nel 1466 lo portarono in Toscana (Firenze). Il suo consumo si diffuse fino in Francia grazie a Caterina dé Medici che lo introdusse alla corte del Re di Francia in occasione del matrimonio con Enrico II. Verso la metà del Cinquecento con Enrico VIII cominciò a comparire perfino sulle tavole inglesi, anche se rimaneva un cibo raro a causa della sua ridotta coltivazione. Il medico Castore Durante nel suo “Herbario Nuovo” (1585) descrive dettagliatamente i carciofi suddividendoli in spinosi e non, domestici o silvestri. Si sofferma illustrando le varietà senza spine che possiedono brattee grandi, numerose, intagliate. Aggiunge, che hanno il fusto lungo e pieno di foglie con infiorescenza a forma di pigna. Nel “Brieve racconto di tutte le radici, di tutte l’erbe e di tutti i frutti che crudi o cotti in Italia si mangiano” (Londra 1614) il veneziano Giacomo Castelvetro racconta che se i carciofi sono grandi quanto una noce son buoni da mangiare crudi con sale, pepe e cacio vecchio mentre i più grossi, tagliando loro metà delle foglie, si cuociono sulla graticola con olio, pepe, sale e, se di gradimento, si cospargono di sugo.

Andrea Russo

Il Carciofo a spasso nella storiaultima modifica: 2009-04-02T10:01:00+02:00da gastronomo-a
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Un commento su “Il Carciofo a spasso nella storia

  • lu

    proprio interessante questo articolo. Ho segnalato in giro il tuo blog. Buona divulgazione… ciao, Lu.

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